Chinook

“Chinook?… Che vuol dire? Sembra una marca di salmone affumicato“, disse lei.

“E’ un vento, un vento caldo che dal Canada attraversa le praterie del nord America”, rispose lui disteso sul divano, mentre cercava di far funzionare il telecomando battendolo sul ginocchio.

“E che c’entra il vento con quello di cui ti sto parlando?” Disse lei strofinandosi la fronte.

“Niente, mi è balzata in testa la parola e l’ho detta”, rispose lui. L’aveva sentita alla televisione poco prima che lei arrivasse. E stranamente continuava a ronzargli in testa come un elicottero.

“Mah! Mi sa che c’è qualcosa nella tua testa che non va. Dovresti farle una messa a punto. Conosco un buon meccanico dei cervelli se vuoi”, disse lei ironica.

“Non essere spiritosa, c’è poco da sfottere. Guarda te invece. Credi che il mondo sia avvolto dalle fiabe… ”, disse lui cambiando canale continuamente.

“Ma non puoi, improvvisamente uscirtene con una parola che non c’entra niente col discorso che stiamo facendo. E’ assurdo!” Disse lei, incrinando il tono della voce.

“Niente è assurdo. Ho solo dato aria alla mia immaginazione, nient’altro” disse lui, continuando a battere il telecomando sul ginocchio.

“Dai aria alla tua immaginazione e contesti la mia fantasia? Sei un presuntuoso!” Disse lei unendo i lunghi capelli in una coda, mentre lisciandoseli tirava fuori quelli morti.

“Hai ragione…”, rispose lui, agitando il telecomando verso il televisore come un tubo dell’acqua.

“E non darmi ragione… mi fai incavolare di più. Mi dai ragione e lasci le parole sospese solo perché non hai argomenti!” Disse lei mettendosi tra lui e il televisore con le braccia sui fianchi.

“Sì, vabbè… spostati”.

“ Mi sono scocciata dei tuoi silenzi e delle tue mezze parole… guardati, ormai ti sei divanizzato completamente, hai preso pure il colore del divano!” Disse lei, puntandogli un dito contro e rimanendo nella stessa posizione.

“Sei pedante… ” ,

“Sarò pedante, ma tu sei un povero illuso che è convinto di sapere tutto, e sputi fuori parole solo per dimostrare che ne sai più degli altri! Chinook! Chinook un cazzo!”

“Esco…” sbottò lui, alzandosi di scatto, mentre gli incisivi gli martoriavano il labbro inferiore.

“Sì esci, esci, fai bene a uscire brutto stronzo. Anzi, fai una cosa, non tornare mai più! Ne ho piene le tasche della tua erudizione del cazzo! Impotente!”

Lui si girò di scatto e attraversò il corridoio a grandi passi – un nervo ribelle iniziò a pulsargli sull’occhio destro. Aprì lo sgabuzzino e da dentro la cassetta degli attrezzi tirò fuori un grosso martello; tornò sui suoi passi e la trovò in cucina che guardava dentro il frigo; alzò il martello verso l’alto e scattò per colpirla. Un grosso coltello da cucina balenò nella mano di lei, colpendolo ripetutamente al ventre; la sorpresa fu l’ultima cosa che rimase impressa nello sguardo divanizzato di lui.

“Chinook un cazzo!” Gridò lei. Prese il telecomando e glielo ficcò in bocca.

Share This:

La donna del fiume

Era una giornata soleggiata, ideale per una passeggiata immersa nella natura. Il fiume era illuminato da mille riflessi argentei che, impudenti, le si riverberavano negli occhi, riparati da grossi occhiali da sole. Aveva lasciato i pensieri a pascolare liberi, facendosi condurre dai piedi che, tranquilli, seguivano il serpeggiare del fiume. Si sentiva serena, circondata da tutto quel verde. Se l’era meritata proprio quella giornata dopo tanto intenso lavoro. Quel posto le era sempre piaciuto, le faceva venire in mente immagini fuggevoli, ancora impolverate nella soffitta della sua mente; avrebbe voluto fissarle meglio quelle immagini, colorarle, darle più luce, come i riflessi del fiume…

Venne distolta da una strana sensazione di disagio: si sentiva osservata. Si guardò intorno, ma non vide nessuno. Un malessere strano s’impadronì del suo corpo: una vibrazione forte e sgradevole. Prese coscienza di trovarsi da sola in un posto isolato e rapida imboccò il sentiero che portava al parcheggio. Improvvisamente il rumore di foglie secche, proveniente da dietro un intricato muro di cespugli, la fece sobbalzare; qualcosa si mosse oltre le piante, si girò con i nervi tesi pronta a reagire. Vide un’ombra che si celava tra i rami; scattò come una molla, saltò un tronco e s’infilò tra gli alberi. Si sentiva inseguita da passi veloci che calpestavano i rami e le foglie con rapidità, ma il suo fisico agile distaccò quei rumori sinistri e raggiunse il parcheggio.

Tornò a casa che ansimava ancora: era sconvolta. Chiuse bene la porta d’ingresso, poi controllò le finestre e i balconi e, infine, si distese sul divano rabbrividendo.

Si svegliò completamente zuppa di sudore, il sogno era stato intenso e terribile. Sentiva ancora il fiato dell’uomo che le rimbombava nella testa e, stranamente, ne sentiva anche l’odore, uno strano odore che le ricordava qualcosa, ma che non riusciva a definire. Com’è possibile? – Pensò. Mise il latte sul fuoco, tirò fuori la scatola dei cereali e accese la televisione per il notiziario del mattino. C’era qualcosa nella sua mente che non quadrava, la sua percezione stava cercando di comunicarle qualcosa, ma cosa? – Si chiese.

L’uomo col microfono stava intervistando un tizio che mostrava un punto vicino alla riva del fiume, esattamente dove si trovava lei. Ma quando? Nel sogno o il giorno prima? Non riesco a capire – si disse. Alzò il volume del televisore, ma l’intervista era finita.

Accese il computer e si collegò sul sito di un quotidiano. «All’alba di questa mattina è stato trovato il corpo, non ancora identificato, di una donna nuda. Il cadavere era nel fiume a poca distanza dalla riva. La donna aveva segni di violenza lungo tutto il corpo». La puzza di gas la fece emergere dallo strano torpore in cui era caduta; corse in cucina, ma urtò il mobile e fece cadere una cornice, si fermò solo un attimo e poi continuò; girò la manopola del gas e aprì il balcone; prese uno straccio e pulì velocemente il latte che si era riversato sul fornello; richiuse il balcone e tornò indietro a raccogliere la cornice: la foto la ritraeva sorridente con una gardenia nei capelli e con in braccio il suo gatto. Chissà dove sta Sciùsciù, è da ieri che non lo vedo – pensò. Passò il resto della giornata alla ricerca di notizie sulla morte della donna del fiume. La polizia non era ancora riuscita a identificarla; le uniche notizie certe erano che era stata violentata e che poteva avere dai venticinque ai trent’anni, altro non si sapeva, anche perché il corpo era in avanzato stato di decomposizione e il viso era stato martoriato dai topi. Ormai era ossessionata da quel delitto: passava le ore ascoltando telegiornali e scandagliando internet alla ricerca di informazioni sull’assassino. Il terrore si trasformò in odio, un odio profondo che la tenne sveglia tutta la notte, china davanti al monitor a scrutare nella rete in cerca di tracce. Le immagini del corpo di quella povera donna le saettavano nella mente come tanti flash; era come se la morte di quella giovane la coinvolgesse in prima persona. L’alba la sorprese addormentata con la testa sulle braccia distese davanti al monitor. Si alzò e si diresse in cucina; prese la scatola dei croccantini per Sciùsciù, ma vide che la ciotola del gatto era ancora piena. Si versò un bicchiere di latte direttamente dalla bottiglia presa dal frigo. Tornò alla scrivania e avviò il computer; era ancora in piedi mentre aspettava che la pagina diventasse leggibile. Il bicchiere le cadde di mano con un rumore che rimbalzò fin dentro la profondità del suo essere: «La donna del fiume ha finalmente un volto». L’immagine sorridente di lei con una gardenia nei capelli e con in braccio Sciùsciù invase il monitor.

Share This:

Prima colazione

La forchetta dava una sensazione di incertezza, messa lì, sospesa a mezz’aria. Lo spicchio di pesca, infilato tra le punte di quell’attrezzo un po’ troppo lucente, sembrava un quarto di luna vestito di sole; sullo sfondo un seno maturo, pronto; pieno di calore e promesse di godimento.
No, non erano solo quelli i dettagli: c’era il viso con le labbra socchiuse che creavano una leggera e piacevole increspatura sulle guance. C’erano gli occhi felini e invitanti – separati da un naso gentile – che osservavano desiderosi…Ma la forchetta e il seno s’irradiavano come un fuoco divampante aggredendogli l’anima spudoratamente; quelle forme gli esplodevano direttamente nella mente come schiaffi sonori. Non riusciva a distaccarsene. Cercò di apprezzarne l’insieme, valutando la qualità del quadro, anche se non gli sembrava un gran che come opera. Si rese conto che l’autore avrebbe voluto imprimere al dipinto una certa luce magica, ma che si era lasciato prendere la mano nell’intento di marcare troppo i particolari…

Il gallerista si avvicinò con discrezione «Le piace? S’intitola Prima Colazione; un’opera di un autore italiano ancora poco conosciuto, ma con grandi doti», disse con un cortese sorriso.

«Lo compro», rispose lui senza girare lo sguardo.

«Bene. Il quadro è una tecnica mista… »

«Lo compro», l’interruppe lui guardando sempre il quadro.

«Ma… sì, certo signore. Dove glielo mando?»

«Lo porto via subito», disse lui finalmente guardandolo, come se fosse appena uscito da una specie di trance.

Il quadro era abbastanza grande, ma non tanto da impedirgli il trasporto fino a casa. Infilò la chiave nella toppa, e per la milionesima volta si disse che doveva farla regolare quella cosa cigolosa e pesante. Scartò il quadro e lo tenne sospeso tra le mani osservandolo attentamente. Dietro c’era scritto il titolo, la tecnica e l’anno. Staccò un quadro dal muro e vi appese quello nuovo; si mise seduto e restò a fissarlo. Dopo un po’ spense le luci, si avvicinò al quadro, lo tolse dal muro e lo portò in camera da letto. Con molta cura s’infilò il pigiama, abbottonandolo premurosamente fin sotto il collo, e controllando che i bottoni combaciassero perfettamente con le asole; appoggiò il quadro delicatamente sul letto a fianco a lui, leccò lo spicchio di pesca e si addormentò con il braccio sul seno di lei.

Share This:

Puttana

“Impastiamo teorie ultraterrene per sfamare le nostre anime”, disse lei sedendosi sul tavolinetto del salotto.

Lui la guardò incuriosito, non capiva perché gli avesse detto quella cosa senza né capo né coda. “ Che intendi?” Disse lui distendendo le braccia verso l’alto per alleviare il fastidio alla spina dorsale – amplificato dalla forma affossata della poltrona.

“Siamo bombardati da continue teorie sulla vita ultraterrena, lo spirito, gli angeli, alieni, fine del mondo… sembra che chissà cosa debba succedere a breve, ma io penso che è solo perché ci sentiamo soli e insoddisfatti… ” girò lo sguardo verso la veranda da cui s’intravedevano alcuni picchi innevati di montagne, sullo sfondo di un cielo coperto.

Lui seguì lo sguardo di lei, nella speranza di capire cosa le fosse saltato in testa così all’improvviso; si soffermò sul viso percorrendole il profilo dalla fronte fino al mento; ma non riuscì a frenare gli occhi che si posarono desiderosi sopra il seno.

“Forse perché abbiamo bisogno di cambiamenti… ” disse lui senza convinzione.

“Cambiamenti? Sei forse cambiato tu che continui a usarmi come una puttana?” Gridò lei alzandosi di scatto e uscendo fuori dalla veranda. Una folata fredda inondò la stanza gelando anche la lingua di lui.

Quelle vette appuntite le davano un senso di precarietà indescrivibile; più le osservava e più rabbrividiva. Era decisa a chiudere quella storia senza copione, senz’anima.

“Dài vieni dentro, fa freddo qui fuori… ”disse lui quando gli si scongelò la lingua.

“Vattene, va’ via… lasciami sola, pagami la scopata e esci dalla mia vita… ”

“Ma si può sapere che ti è preso?” Disse lui tremando dal freddo: era a torso nudo.

“Porta le tue cazzate fuori dalla mia porta, hai capito?”

Lui entrò dentro contò dieci pezzi da cinquanta euro e uscì sbattendosi la porta alle spalle.

Lei prese i soldi e iniziò a farne piccoli aerei, lanciandoli nell’aria dopo averne riscaldato la punta.

Un raggio di sole bucò le nubi.

Share This:

Paure

“Ti spingo oltre il fosso non per farti cadere, ma per farti vedere altra terra calpestabile”, le disse l’amico alla fine del discorso.

“Sì, ti capisco, ma mi sento ancora impaurita, so che la sua furia crescerà e si manifesterà in modo rabbioso… ho paura delle sue reazioni”, disse lei.

“E’ proprio su questo che lui gioca. Capisci che ormai ti possiede mentalmente? Fammi intervenire così gli do una lezione a quel bastardo!”

“No, lascia perdere, devo risolverla da sola… ”

“Allora reagisci; sii più concreta, ed esorcizza le tue paure. Stacca l’interruttore”.

“Sì, lo farò, ho solo bisogno di capire e capirmi meglio… ”

“Spero che in questo gioco di carnefice e vittima tu non ci trovi qualche recondito piacere; sai come vanno queste cose… ”, disse lui preoccupato.

“Devo confessarti che all’inizio ci provavo gusto, ma adesso provo solo dolore… “

“L’importante è che ne hai coscienza, già è un passo avanti… ”, disse lui mentre i silenzi diventavano sempre più lunghi.

“Ti chiamo stasera, così… ” disse lei.

“Sì… ciao” rispose lui.

Spense il cellulare e discese le scale. Doveva incontrarlo al solito posto. Camminava spingendo il corpo in avanti, come se dovesse vincere la resistenza dell’aria; aveva la sensazione che qualcuno la stesse tirando per i capelli trattenendola. I pensieri le si sovrapponevano in tante voci incomprensibili: come tanti echi lontani. Stranamente la strada sembrava rimpicciolire velocemente verso il centro: le ricordava quelle immagini che si allungavano come un elastico nei cartoni animati, che le piacevano tanto quando era piccola. Ma la cosa non la impressionò, anzi la fece sorridere.

L’uomo era là, fermo, appoggiato al muro con in faccia stampata un’espressione trionfante.

“Ero certo che saresti venuta”, le disse.

“Ne ero certa anch’io”, rispose lei.

“Allora?” Disse lui sempre con la stessa espressione sul viso.

“Allora sono venuta a riprendermi la mia vita”, disse lei decisa.

“ E come pensi di farlo?” Chiese lui in tono di sfida.

“Così!” La pistola si materializzò improvvisamente, e allo stesso modo il colpo partì, inaspettato anche per lei, ma la mira fu precisa: direttamente in mezzo alle gambe, all’altezza del pene.

“Ecco! Ho esorcizzato le mie paure”, disse lei allontanandosi.

Share This:

Il tocco delle carni

Mi sveglio, sei lì davanti a me; le nostre gambe s’incrociano in una strana posizione: avvinghiate in una specie di incastro a forbice, con i corpi distesi lungo le due estremità del sofà. Sei nuda, ma è come se lo fossi sempre stata. Mi guardi con quegli occhi rubati a chissà quale gatto randagio e sorridi. C’è una luce che ti accarezza il viso: un perfetto alone di chiaro scuro che ti ammorbidisce ancora di più i lineamenti. Mi abbevero della tua figura come un assetato che ha appena trovato una fonte d’acqua celata tra le dune. Sono preso completamente dal tuo corpo, avvinto dalla delicatezza delle tue curve. Ti accarezzo pian piano e percorro il piccolo rigonfiamento di una vena che si perde tra le dita del piede. Mi guardo intorno e ho la sensazione che il tempo ci stia aspettando. Si è messo un po’ in disparte, e con discrezione aspetta un nostro segnale per continuare la sua corsa. Ti bacio l’alluce – delicatamente, senza fretta tanto il tempo aspetta. Spingo le mie labbra lungo un percorso sconosciuto soffermandomi sulla piccola depressione della caviglia. Prendo il tuo piede, l’appoggio sulla spalla e comincio a massaggiarti la gamba fin dove le mie braccia possono arrivare. Lentamente i tuoi sospiri riempiono la stanza rimbalzando dolcemente sulle pareti come tanti palloncini colorati. Non ci muoviamo, restiamo così, godendo solo del tocco delle nostre carni.

Share This:

Preda delle acque

La barca era piccola, troppo piccola. La costa era lontana; là, in fondo, oltre il buio.
O forse no? Forse la costa non c’era, forse non c’era niente oltre quell’oscurità immutabile? Forse c’erano solo voci sorde di disperazione? Bocche aperte prive di suono che chiedevano aiuto. Ma lui come poteva aiutarle? Era preda delle acque. Curvò le spalle alle tenebre intorpidite dalla sua incertezza; sentiva un grosso peso su di sé prodotto da una gravità opprimente. Cercava di ragionare, ma appena gli si formava un concetto logico, una mano diafana glielo ghermiva dalla mente.

Il vento soffiava a vortici insistenti e la barca non riusciva a trovare la rotta; le vele a brandelli creavano forme stridenti, i cui lembi tremavano nell’aria di quella notte eterna e silenziosa.

Era al timone da molte ore e da molte ore non dormiva. O forse erano giorni? Sapeva che se lasciava il timone, la barca si sarebbe capovolta in quel mare nero. Onde gigantesche lo superavano frangendo e spazzando il ponte da poppa a prua in un silenzio assordante. Ogni tanto qualche gorgo maligno ghermiva la barca facendola girare su se stessa. Sentiva freddo, molto freddo. Provò a cantare, ma le parole gli si gelavano sulle labbra appena uscivano dalla bocca frantumandosi ai suoi piedi. Mentre il vento gli strappava pezzi di pelle dal viso e dalle mani trasformandoli in mille coriandoli traslucidi. Finalmente un suono emerse da dietro le tenebre e si fece strada prepotentemente sopra la notte. Invase l’aria; attraversò lo scafo; s’infilò nel suo corpo e s’impossessò della sua coscienza. Si sedette al centro del letto; il telefono continuava a squillare come se avesse fretta di essere ascoltato.

Si alzò e andò a rispondere. Non c’era nessuno dall’altro lato del filo.

Solo l’ululato del vento.

Share This:

Polvere d’ombra

Un giorno il Lampionaio bussa alla porta dell’Alchimista.

– Alchimista, ho un problema grave, solo tu mi puoi aiutare.

– Cos’è che ti assilla Lampionaio?

– E’ da qualche tempo che perde la polvere.

– Chi? Di quale polvere parli?

– La polvere della mia ombra, Alchimista.

– Sembra una cosa seria, siedi e racconta.

– Dunque, l’altro giorno, mentre potavo le rose vicino al muro di casa, ho notato una strana polverina scura sui petali. Il fatto mi ha sorpreso, perché ho molta cura delle mie rose, e non mi ricordavo di averla mai vista in precedenza quella strana cosa. Prima ho pensato che fosse polvere dell’intonaco, ma era troppo scura; sarà stato lo spazzacamino che passando ha fatto cadere della polvere, mi sono detto, ma lui viene una volta al mese, e sono quindici giorni che non lo vedo. Ieri, al tramonto, sono uscito da casa con questo enigma che mi gironzolava in testa, e quando si è materializzata la mia ombra, guardandola meglio, mi è sembrata un po’ smagrita. La cosa sul momento non mi ha insospettito, perché ho pensato che forse con l’arrivo dell’inverno stava diventando più snella. E così abbiamo fatto il nostro giro abituale per accendere i lampioni. Stamattina all’alba, quando l’ho salutata, mi è sembrato di vedere un piccolo velo di polvere uscirle mentre si allontanava. Quando poi sono andato a potare le rose ho rivisto quella polverina strana di nuovo sui petali e sono rimasto di sasso, perché a quel punto ho realizzato che è là che l’ombra si distende quando torniamo. Devi sapere che a lei piace molto il profumo delle rose. Insomma, osservando meglio, ho trovato tracce di quella polverina un po’ dovunque lungo il muretto del roseto. La scoperta mi ha spaccato il cuore Alchimista. Mi sento infelice, aiutami ti prego. Dimmi, cosa posso fare per la mia ombra?

L’alchimista si alza e, con le mani incrociate dietro la schiena, inizia a gironzolare per la stanza; ogni tanto si ferma, porta l’indice alla tempia e poi riprende a rimuginare di nuovo. Dopo aver quasi consumato completamente il tappeto sul pavimento dice:

– Alza i piedi Lampionaio!

Un grosso buco sotto la scarpa sinistra faceva bella mostra nella suola del Lampionaio.

Share This:

Guardo fuori…

Guardo fuori: i profili delle case iniziano a riprendere le forme.
Linee geometriche che ritrovano l’identità sullo sfondo di un cielo che schiarisce. Chiudo la pagina, Word mi chiede se deve salvare; no, non voglio salvare quello che ho scritto. Preferisco lasciarlo nell’aria.

Share This:

Il Libro

Quel pomeriggio, prima di tornare a casa, passò per la libreria. Entrò e si avviò direttamente al reparto fantasy. Amava i libri fantasy: leggeva solo quelli. Anche se era una persona concreta, e non credeva nelle fate, nei maghi, elfi… li amava e non poteva fare a meno di leggerli. Non andava spesso in libreria, ci andava ogni tanto. Ogni tot settimane, dipendeva da quanti libri riusciva a leggere ogni tot settimane. Perché?Perché quando passava alla cassa, spesso si vergognava di far vedere a gli altri che leggeva quel genere di libri. Era un uomo timido, solitario.

Era in fila in attesa di pagare, quando venne spintonato da una donna molto attraente.

«Scusi… scusi tanto» disse la donna.

«Niente… ehm, stia tranquilla» rispose lui porgendole i libri che la donna aveva fatto cadere insieme ai suoi.

«Ecco, tenga… questo è suo» disse la donna allontanandosi in fretta. Mentre lui la guardava affascinato.

«Sono ottantasette euro signore… signore?» Disse la cassiera.

«Ah, sì, mi scusi… sì» rispose lui, tornando in sé.

Strano, Pensa Yago, l’incipit di questo libro sembra identico… Gira lentamente la pagina e continua a leggere.

Passò prima per la lavanderia e poi andò a casa; lungo le scale incontrò la signora del primo piano…

Yago si ferma di nuovo, guarda la pagina e: No, non è possibile mi sto lasciando suggestionare, pensa. Ma invece di continuare, parte di nuovo dall’inizio del racconto. Supera la parte letta in precedenza e continua.

… la signora Anna, una ficcanaso senza eguali. Entrò in casa accese lo stereo, programmò una compilation di jazz e andò in cucina per far scongelare la cena. Dopodiché aprì la busta della libreria, tirò fuori i libri…

Yago lascia cadere il libro a terra inorridito. Si allontana da esso come se avesse visto un fantasma. Si guarda intorno, convinto che fosse uno scherzo, una specie di candid camera. Sicuramente adesso usciranno fuori e applaudiranno per lo scherzo che mi hanno fatto, pensa. Ma sa benissimo che non può essere così: non avrebbero avuto lo spazio. E poi perché proprio a lui? Cosa aveva di speciale lui? Con cautela si avvicina di nuovo al libro e riapre la pagina.

… e vide che ce n’era uno che non aveva scelto. Lo prese e ne lesse il titolo – Le fantasie di questo mondo – di Morgana Estro (tratto da una storia quasi vera).

No! Grida Yago, non è possibile! Chiude il libro, ma dopo qualche secondo prende coraggio e continua a leggere.

… Lesse la quarta di copertina scritta dalla stessa autrice: – Spesso da questa parte del mondo, cioè dalla parte reale, succedono cose che dall’altra parte, cioè dalla parte irreale, non immaginano nemmeno. Quale sarà la realtà? Questa o quella – Morgana Estro.

«Sicuramente era di quella donna con la quale mi sono scontrato» disse sorridendo. E iniziò a leggerlo.

Quel pomeriggio, prima di tornare a casa, passò per la libreria. Entrò e si avviò direttamente al reparto fantasy…

Una strana sensazione di disagio comincia ad avvolgerlo; tuttavia continua a leggere finché non arriva esattamente dove si trova in quel momento. Ma prima di girare la pagina si ferma e posa il libro. Ha la testa che gli ronza come uno sciame d’api, ed è bombardata da una serie infinita di domande. Di cui una sola è la più importante, la più rilevante; forse l’unica a dover pretendere una risposta immediata. Come fa quel libro a descrivere esattamente quello che gli sta succedendo?

Ha paura di voltare pagina; non riesce a credere a quello che gli sta accadendo. Titubante guarda il libro appoggiato sul piccolo tavolino vicino alla poltrona; è tentato di riaprirlo e girare pagina, ma non ne ha il coraggio. Continua a guardarsi intorno come se qualcuno lo stesse osservando. Si chiede più volte se gli stessero tirando un brutto scherzo. Improvvisamente comincia a girare per il piccolo appartamento e rovistare nei punti più nascosti, convinto di individuare tracce di qualcosa: telecamere, microfoni, ma non trova niente. Si accovaccia nell’angolo opposto e guarda il libro con angoscia; come se da esso chissà quale incantesimo si stesse per sprigionare. Poco dopo si alza e inizia a girare di nuovo intorno alla poltrona – tenendo sempre il libro sott’occhio. Poi si guarda le dita e rimane sorpreso: le unghie non ci sono più: se l’è mangiate. Ma la curiosità spesso riesce a sopraffare la paura, specialmente quando si tratta del proprio destino. Prende il libro e lo riapre; arrivato al punto dove si trova in quel momento gira la pagina e con sorpresa scopre che le parole sono senza alcun tipo di significato; un’accozzaglia di lettere messe una dietro l’altra senza coerenza: indecifrabili. Aspetta un po’ e poi lo riapre ancora, e poi di nuovo: più e più volte, ma la parte illeggibile rimane invariata.

La mattina dopo apre il libro e scopre che parte delle parole che non si leggevano la sera prima sono diventate comprensibili, fermandosi, poi, sempre nel punto della realtà temporale. Chiama in ufficio e dice che non si sente bene, poi prende il libro e si avvia verso la porta, ma passando davanti allo specchio si rende conto di essere ancora in pigiama. Torna indietro e s’infila velocemente una camicia e un paio di pantaloni. Incuriosito apre il libro e legge le ultime righe.

Chiamò in ufficio e disse che non si sentiva bene, poi prese il libro e si avviò verso la porta, ma passando davanti allo specchio si rese conto di essere ancora in pigiama. Tornò indietro e s’infilò velocemente una camicia e un paio di pantaloni. Aoutrndt af potfgatl dpfvestqaoton d gfl, dotgg, hs gerqh ssmgqotu, fdrbhfgayffd. Mgatdghisfryo; bhlogttabsujt…

Mentre scende le scale incontra la signora Anna del primo piano. Buongiorno Yago, non va a lavoro oggi? Gli chiede la signora Anna. Cosa glielo fa pensare? Risponde lui. Be’, ecco, non la vedo in giacca e cravatta, e quindi… Si faccia gli affari suoi ficcanaso! Risponde Yago, continuando a scendere velocemente le scale. Che villano! Dice la signora Anna molto sorpresa.

Yago esce sul marciapiede, si ferma e riapre il libro.

Mentre scendeva le scale incontrò la signora Anna del primo piano «Buongiorno Yago, non va a lavoro oggi?» Chiese la signora Anna. «Cosa glielo fa pensare?» Rispose lui. «Be’, ecco, non la vedo in giacca e cravatta, e quindi…» «Si faccia gli affari suoi ficcanaso!» Rispose Yago, continuando a scendere le scale velocemente. «Che villano!» Disse la signora Anna sorpresa. «Chi se lo sarebbe mai aspettato da una persona del genere, è sempre stato così gentile» continuò salendo le scale la signora Anna. «Di chi parli Anna?» Le chiese la sua vicina sul pianerottolo. «Di Yago, sai quello che abita al terzo piano?» Disse Anna. «Certo, lo conosco, quel tipo solitario; un tipo normale. Che ha fatto?» Chiese la vicina. «Mi ha dato della ficcanaso. Da lui non me lo sarei mai aspettata. E’ sempre stato educato, ben vestito…mah! A volte la gente impazzisce. E poi l’ho visto strano: aveva la camicia abbottonata male, la lampo dei pantaloni aperta e non si è fatto neanche la barba. Ciao carissima ci vediamo», disse Anna chiudendosi la porta alle spalle. Bhlogttabsujt.. lf potfgatl dpfvestqaoton labhlogtto rbhlogtte vbhlogtt assmgqotu.

Yago si tocca la barba, si tira su la lampo richiude il libro e va diretto alla libreria.

“E adesso?” Si chiese lei “Come la faccio continuare questa storia? In fin dei conti gli ho dato una bella personalità a questo tizio: un uomo normale, solitario, sconvolto da un libro misterioso, un libro magico. Gli ho anche dato un nome un po’ improbabile – Yago – che rimanda a sentimenti possenti come la gelosia… la gelosia. Sempre lo stesso problema”, si girò verso il telefono.

“Non vorrei farlo incontrare con la donna misteriosa: troppo scontato, e continuare con il gioco delle parole indecifrabili, rischierei di farlo diventare noioso. Ci vorrebbe un’idea, un’intuizione” si disse, girandosi di nuovo verso il telefono.

“Yago, Yago,Yago… ” ripeteva come un mantra.

Lo scampanellio della porta d’ingresso la fece tornare in sé, si alzò e andò ad aprire.

«Buonasera, cerco la signora Morgana Estro». L’uomo aveva un libro tra le mani.

Share This: