La tempesta Perfetto

La barca scivola sull’onda oceanica rollando dolcemente – mi sembra di volare. Sono in compagnia di un grande uccello bianco solitario – assiduo abitatore dei mari – che sfrutta le alte correnti ascensionali. La navigazione procede tranquilla. Sono immerso nella lettura di un classico romanzo dell’ottocento: ‘Moby Dick di Herman Melville’. E’ la storia della baleniera Pequod.“… bastimento vecchio e inusitato… „ comandata dal  capitano Achab.“… roso dentro e arso fuori dagli artigli fissi e inesorabili di un’idea incurabile… „ E di Ismaele il suo narratore. “ Chiamatemi Ismaele, qualche anno fa non importa quando esattamente… „

Ma ho una sensazione strana che mi rende irrequieto. Il mare stranamente cambia colore, non il solito blu, ma un blu metallico; cominciano a crescere piccole onde dall’aspetto vitreo, il vento gira di qualche grado e s’intensifica. Mi guardo intorno e non vedo  più l’uccello che prima planava curiosamente a poppa. Non è un buon segno qualche evento si appresta.

Il vento aumenta d’intensità, riduco la velatura e viro di qualche grado per stabilizzare la barca, mi infilo la cerata e mi lego la cintura di sicurezza. Guardo il cielo attraversato da cirri, mentre in lontananza intravedo un gigantesco cumulonembo portatore di sventure, il che mi fa capire immediatamente le sue cattive intenzioni. Mi metto a secco di vele e resto in pozzetto in attesa degli eventi.

Il mostro si avvicina e ha la forma di un’incudine, la sua altezza arriva fino ai limiti della troposfera, sembra un fungo atomico dalla potenza devastante: il bianco delle sue propaggini contrasta fortemente con il grigiore della base che dopo un po’ s’intensifica scurendo verso il nero. Sotto, il mare comincia a ribollire creando strisce d’acqua polverizzata che dipanano a una velocità incredibile. La prima raffica mi coglie di sorpresa poi non c’è più storia: il rumore del vento da fischio acuto diventa un ululato agghiacciante fino a un turbinio assordante; le onde da dossi diventano colline e infine montagne. La barca si “corica”  in più occasioni portando l’albero in acqua: sembra un tappo di sughero sballottato in una caldaia infernale. E il mare diventa completamente bianco. Resto chiuso dentro sperando in un miracolo. “… Achab e l’angoscia giacquero coricati insieme nella stessa branda… „

Infine la pioggia: lacrime d’acqua che riempiono l’atmosfera, venendo giù a cascata e scrosciando violentemente sul mare in tempesta. Lacrime d’acqua che attutiscono il moto ondoso e mi regalano un filo di speranza. Lacrime d’acqua che si uniscono alle mie in un  fluido abbraccio per festeggiare il passato pericolo.

Sono fuori nel pozzetto a contemplare quel momento magico, quel miracolo della natura: il mostro si allontana spinto dalla sua forza devastante e porta con sé tutta la malevolenza e la maligna potenza di un evento atmosferico incontrollabile. Il mare lentamente si calma e trova un suo moto regolare, grosso ma navigabile, il vento si stende sull’acqua a una velocità sopportabile e gonfia le vele bagnate dalla pioggia,  il sole illumina il mare regalandogli la tonalità di blu più cangiante, il cielo si tinge di azzurro cobalto — troncato in due da una linea bianca: traccia di una civiltà moderna e frettolosa. Torna l’uccello, torna la pace. “… era la nave Rachele che andava bordeggiando, e che nel rifare la sua rotta in cerca dei figli perduti, trovò solo un altro orfano… „

 

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Onironauta

L’avventura è iniziata, parto con mille dubbi e mille paure, ma con l’intenzione di realizzare il mio sogno. Mollo gli ormeggi con un ultimo sguardo alla grande baia, piena di barche, che si allontana lentamente da poppa; chiedendomi cosa pensassero i marinai del passato quando partivano alla ricerca di nuovi approdi. Costeggio un isolotto disseminato di pini mediterranei con scogli appuntiti che affiorano poco distanti da una spiaggia di sabbia vulcanica, dò qualche grado a sinistra e supero il promontorio col faro: quella striscia di luce mi affascina, è una sicurezza e un conforto per chi naviga. Sento uno sciabordio sospetto mi affaccio e vedo due delfini che giocano felici a prua. Li accompagno con lo sguardo e lascio fantasticare la mente allontanandola da pensieri funesti. Sono pronto ad affrontare la prima tappa del viaggio. La terra, al traverso di dritta, inizia ad illuminarsi e a prepararsi ad un’ altra serata estiva. Un gabbiano reale curioso, mi accompagna con la speranza di procurarsi qualcosa da mangiare, l’accontento e gli lancio qualche biscotto. Mi godo il tramonto che dal giallo passa all’arancio, poi al lilla e ancora al rosso vermiglio. Il sole, calando in lontananza, sembra faccia bollire il profilo del mare. Dopo un po’ un raggio verde parte dall’orizzonte e, per un momento, illumina il cielo; nei pochi attimi in cui si manifesta resto incantato ad osservarlo. E’ un effetto ottico raro, conseguenza della rifrazione solare sulla superficie terrestre, e per chi naviga è un segno di buono auspicio. Inizia a fare buio, Venere irradia la sua predominante luce fredda nella volta celeste, la quale comincia a puntellarsi di piccole luci che a mano a mano si fanno sempre più intense. La via Lattea crea un’enorme e polverosa striscia nel cielo, impossessandosi di un buio senza luna. Il gabbiano è andato via: sono solo. Metto la prua a sud ovest, regolo le vele, mi sdraio sulla tuga e contemplo la volta celeste. Comincio a individuare qualche stella: Andromeda, Arturo,Vega, la corona Boreale: mi sento piccolo. Devo stare attento, la rotta che ho tracciato è molto trafficata, specialmente d’estate; è una zona di mare difficile e imprevedibile, basta un niente e l’avventura si trasforma in tragedia. Mi organizzo i turni di guardia regolando la sveglia ogni quaranta minuti. Il mare e il buio – due elementi che combinati rievocano vecchie ataviche paure – mi fanno entrare in una specie di limbo nel quale non riesco a distinguere la realtà dal sogno. Ho letto da qualche parte che una situazione di “sogno lucido” tecnicamente viene definita “Onironautica”. Quale migliore definizione per chi sogna e naviga come me in questo momento. La notte trascorre lenta, sembra interminabile, attraverso lo stretto che mi porta nell’oceano infinito e comincio a sentirne il respiro, la forza, la potenza, l’onda. So che mi osserva, mi scruta, mi controlla e si domanda: “Dove andrà questo piccolo uomo su questo guscio di noce?”

“Mare ti voglio attraversare, voglio arrivare all’estremità della tua grandezza. Mare conosco la tua forza, la tua potenza e ho timore di te, ma sono un uomo e anche se sono piccolo ho una grande tenacia, lasciati attraversare, fammi realizzare il mio sogno, lasciami passare”… onironauta… realtà… sogno…

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Spugna

L’aria che respiro sa di te

L’acqua che bevo sa di te

Il cibo che mangio sa di te

Le scene che vivo sanno di te

Sono impregnato di te

Sono intriso di te

Sono una spugna che assorbe solo te

Strizzami e ti vedrai

Non lasciarmi, altrimenti mi prosciugherò giorno dopo giorno, perdendo così l’unica ragione di essere spugna.

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