Treno

Valigie sparse

muri scalfiti dal tempo

insegne brillanti che illuminano l’attesa

panche che freddano i culi

il batter del ferro sul ferro

l’odore di qualcuno che corre

la puzza di chi ti siede a fianco

il carretto dei giornali cigola

il parlottare di divise

un fischio che arriva

un’altra promessa tradita.

Share This:

Il tram

L’asfalto scivola sotto il parabrezza

mi mordo un labbro

cartelloni illuminati che corrono veloci

giro a sinistra, perché?

Penso a ciò che avresti voluto dirmi

edifici estranei si allontanano

forse dovevo aspettare che mi spiegassi

vado avanti, non aspetto

il tram

dovevo andare dritto.

Share This:

Neve

Ascolto il rumore della neve che cade

il mio mondo coperto di bianco

stalattiti fredde

erosioni temporali

voci lontane che ondeggiano

luce riflessa che rimbalza sul ghiaccio

cani che fiutano

mi cercano

fa freddo

mi avvio senza lasciare tracce.

Share This:

Supplice

«Sono tuo supplice» disse lui inginocchiandosi. E poggiò la fronte sulle ginocchia di lei.

«Allontanati, non mi toccare!» Rispose lei scalciando nervosamente e colpendolo al viso.

Un piccolo rivolo di sangue si fece strada da una narice, ma lui non ci badò.

«Ti prego… ti prego amore perdonami… » disse lui avvicinandosi in ginocchio.

«Ti ho detto che non mi devi toccare! Hai capito?!» Disse lei correndo in camera da letto e sbattendo la porta.

«Ti giuro cucciola, non era mia intenzione… » disse lui rincorrendola sempre in ginocchio.

«Dài, apri la porta, facciamo pace… ti prego, dài!» Supplicò lui.

«Vattene via, sei spregevole… » disse lei singhiozzando.

«Dài, non piangere, ti prego… cucciola. Ti giuro non lo faccio più» disse lui appoggiandosi con la schiena alla porta chiusa e massaggiandosi le ginocchia che gli bruciavano. Si guardò intorno: il salone era disseminato di piatti rotti, vasi fracassati, libri dispersi sul pavimento e quadri che pendevano da un lato; sembrava che ci fosse passato un bulldozer impazzito. Questa volta l’aveva fatta grossa – pensò. Mentre i singhiozzi di lei si facevano a mano a mano sempre più lievi. Si sta calmando, meno male – si disse. Si strofinò con il dorso della mano la narice, osservò il sangue con curiosità, come se non fosse suo; si puntellò con le braccia e si alzò da terra. Avvicinò l’orecchio alla porta, cercando di individuare qualche rumore che gli indicasse lei cosa stesse facendo e, con un leggero tocco, bussò due volte alla porta.

«Cucciola, per piacere puoi aprire la porta? Vorrei parlarti… ti prego»

«Non hai considerazione di me, non hai rispetto… » disse lei, ancora con un debole singhiozzo.

«Amore ti prego, mi fai soffrire moltissimo così. Ti prometto che non lo faro più, lo giuro!» Incalzò lui intuendo uno spiraglio di speranza nella risposta di lei.

«Facciamo così: tu apri la porta e ne parliamo, ti prometto che non entro, voglio solo parlarne… va bene?» Continuò lui, ripassandosi il dorso della mano sotto il naso, ed eliminando gli ultimi residui di sangue raggrumato sopra il labbro.

Sentì la chiave della porta girare e la vide comparire dietro lo spiraglio.

«Come hai potuto?» Disse lei con le guance rigate dal trucco.

«Come hai potuto essere così insensibile… » continuò lei.

«Amore basta, non continuare ti prego, mi stai torturando… ti chiedo perdono… » disse lui con un singulto incontrollato.

«Perdono? Come se chiedere perdono cancellasse la tua azione ignobile. No mio caro, questa volta non te la cavi così facilmente, questa volta sarà l’ultima! Giuro su Dio! La prossima volta che non metti il tappo al dentifricio ti lascio definitivamente».

Share This:

Asfalto

Il suolo è caldo, il sole picchia forte. Lungo la linea dell’orizzonte qualcosa sembra danzare tra i fumi trasparenti, deformandosi e poi riformandosi nell’aria bollente.
E’ blu, con la bocca quadrata e grigliata e ha quattro occhi gialli illuminati; sulla fronte il sole gli si riflette insieme al cielo. Ha due corna da cui esce un fumo denso e scuro, mentre al di sotto qualcosa gira. Si tira dietro un guscio argentato su cui riflettono i campi di grano e il resto del cielo. All’interno ci vive un uomo – qualche volta ci ho visto anche una donna. Ci stanno giornate intere là dentro a trasformare foglie di tabacco tritato in fumo e a bere da gusci colorati e lucenti che poi lanciano ai bordi della strada.

Devo affrettarmi ad attraversare prima che arrivi, ma scivolo male, non lubrifico, fa troppo caldo.

Ecco! Diventa sempre più grande: si avvicina, è enorme. Emette un suono forte, invadente, senza senso; già l’ho sentito questo suono, ha sempre la stessa modulazione sia di giorno sia di notte.

Fa troppo caldo, non lubrifico…

Share This:

Geisha

Sembri pietosamente abbandonata: due parabordi di differente colore cadono dalle draglie, fin quasi a toccare la superficie dell’acqua. Quella barba di alghe formatasi intorno alla linea di galleggiamento sembra che stia lì solo e unicamente per produrre cibo per i pesci che ci girano intorno. La coperta è messa male e avrebbe bisogno di una bella scrostata e di una lucidata. Lo scafo è segnato da varie linee fatte da manovre disattente, impresse su un fondo arancione consumato dal sole. Il pozzetto sembra un mercatino dell’usato, con cime abbandonate qua e là; un salvagente buttato in un angolo, un asciugamano che fa da cuscino e macchie di muffa disseminate un po’ dovunque. Bisognerebbe sentire il motore e verificare la chiglia; per le vele non mi preoccupo, sicuramente saranno in condizioni pessime. L’albero sembra a posto, anche se tenuto su da sartie che andrebbero cambiate. Il cartello vendesi prende quasi tutto l’oblò di prua: anche quello è usato; starà lì da tempo. Non superi gli otto metri e mezzo secondo me, le murate sono alte, il pozzetto è ben protetto, sembri solida; hai solo bisogno di cure amorevoli.

Compongo il numero; ho deciso, ti chiamerò Geisha.

Share This:

A…

A volte dovremmo frugarci l’anima fino in fondo e chiederci quanti danni possa fare una bugia.

Share This:

Non sento…

Non sento il bisogno di aggrapparmi a qualcuno nei momenti difficili, ma spesso sento il bisogno di avere qualcuno vicino nei momenti belli.

Share This:

Un’altra storia

L’Atlantico una distesa d’acqua capricciosa come una donna, che ti ammalia con le sue lusinghe. Ti accarezza con il soffio dell’Aliseo e ti spinge leggero verso la meta, ma improvvisamente tira fuori gli artigli e diventa una fiera aggressiva e pericolosa, con sbuffi traditori e folate micidiali. Ti circonda con dolci colline d’acqua che degradano sotto la chiglia, ma senza preavviso le trasforma in montagne insormontabili e impervie, che si abbattono sullo scafo inesorabilmente, travolgendoti e trasformando il tuo sogno in un necrologio. Ma Anahita, la mia compagna di avventure, mi è stata fedele: non ha belle linee, ed è un po’ goffa, ma nonostante l’età avanzata mi ha condotto dall’altro lato dell’oceano, resistendo e sopportando continue sollecitazioni; reagendo con piglio deciso e lasciando sull’oceano una scia lunga tremila e seicento miglia. Cosa si può chiedere di più a una barca?
Dopo quattro lunghe settimane finalmente la meta: Mont Pelèe fa capolino dietro la foschia, sembra sorridere, un sorriso caraibico fatto di palme che svettano nel cielo azzurro, cosparso di fiocchi di nuvole cotonate; di lunghe spiagge bianche e assolate; di un mare turchese e cristallino abitato da pesci multicolori; del profumo di spezie sconosciute e misteriose; di Steel Band che suonano a ogni angolo di strada e da un’aria calda e accogliente che ti avvolge come in un sogno.
Ho affrontato questa traversata con l’intenzione di superare da solo l’oceano Atlantico e tra episodi piccoli e grandi mi sono aggiudicato il primo round – dopo un incontro duro e senza esclusione di colpi. Ma l’incontro non dura un solo round e sono ancora lontano dalla meta, ci arriverò in serata.
E’ buio, l’entrata è difficoltosa: un dedalo di secche e reef che sulle carte nautiche è definito “cul de sac”, non bisogna conoscere per forza il francese per capire il significato di queste parole: un budello cosparso di boe che segnalano il corridoio d’entrata del porto turistico di Le Marin. La prudenza mi consiglia di aspettare l’alba, l’azzardo mi incita a continuare; ascolto il secondo (sono stanco). Inizio a superare alcune secche seguendo attentamente le boe di segnalazione illuminate da un’intensa luce rossa: una, due, tre , quattro… dov’è la quinta? Quando realizzo l’errore è ormai troppo tardi. Uno stridìo sommerso mi fa accapponare la pelle, Anahita si blocca dando l’ultimo beccheggio in avanti e, arenandosi su un reef, resta immobile circondata da un oscuro silenzio. E’ una sensazione spiacevole, ho sentito la sofferenza della barca fin dentro le mie ossa. Il mare mi ha presentato il conto, calcolando un alto tasso di interessi. Ho abbassato la guardia e ho subìto un KO che mi ha steso al tappeto. Devo rialzarmi prima che finisca il conteggio! Provo a dare motore, prima avanti poi indietro, ma Anahita si appoggia su un lato soffrendo, e io con lei. Piango, mi inginocchio, mi dispero; sento tutto l’universo addosso. L’arbitro continua a contare… sette, otto… è finita! Aspetterò l’alba per chiedere soccorso; un sogno infranto proprio sul finale.
Mont Pelèe non mi sorride più, è avvolto nel buio, le palme, le spiagge bianche, le spezie, il mare turchese, sono scomparse dalla mia fantasia, mi resta solo il vento, caldo e costante… il vento? Che stupido, sono uno stupido! Come ho fatto a non pensarci prima? E’ una manovra rischiosa, ma possibile! Perché non tentare, tanto, male che vada, Anahita non si sposta più di tanto. Armo la randa e tiro su il fiocco e resto in attesa di un buon rinforzo di vento. Ecco! Ora! Cazzo le cime a ferro e Anahita si inclina, e, lentamente, comincia a spostarsi liberandosi dal giogo e portandosi verso acque più profonde. Un urlo liberatore si ripercuote nell’oscurità, sciogliendomi lo stress accumulato fino a pochi minuti prima. Mi sono rialzato prima che l’arbitro finisse di contare, e con un gancio ben piazzato ho abbattuto il mio avversario. Siamo pari!
Fatto l’ormeggio m’incammino sul pontile in cerca di qualcuno con cui parlare dopo tante settimane di silenzio, ma sono le tre di notte e in giro non c’è nessuno. Torno in barca, ma il sonno non arriva. Strano che dopo aver desiderato per giorni di farmi una bella dormita adesso non ci riesca.

Sono a Martinica, Anahita è ormeggiata, adesso riposa, e io veglio…

Share This:

Non capisco…

Non capisco, veramente non li capisco, eppure io sto bene, sto proprio bene. Perché la gente si lamenta sempre? Perché la gente parla senza sapere…

Si sta comodi, rilassati, e la cosa più importante, si sta in santa pace.

Ho meno impegni, meno responsabilità, meno preoccupazioni e più tempo da dedicare a me stesso. Se l’avessi saputo prima l’avrei anticipato questo appuntamento, anche se, devo confessare, non ne ero convinto nemmeno io. Ma le opinioni possono cambiare; molti si ostinano a perseverare nelle loro stupide convinzioni. Io, invece, sto bene, sto proprio bene…

Certo se avessi più spazio… Ma vuoi mettere la pace e la tranquillità che il posto ti offre? La freschezza, il silenzio? No, sto benissimo!

Anche un po’ di luce non guasterebbe. Ma per farne che, poi? Mica posso leggere? E poi dove li metterei i libri… No, sto bene così, faccio lavorare di più la fantasia. Sai quanti romanzi d’avventura mi voglio godere grazie alla mia immaginazione? E poi sarò l’interprete principale.

Ecco, mi farei una birra, quella sì, ma non è possibile. Meglio non pensarci; poi la birra fa sudare e…

Devo confessare che una cosa mi manca per davvero: lo spazzolino da denti. Mi sento il deserto in bocca. In fondo non ho nessun appuntamento, quindi…

Però avere la possibilità, non dico sempre, ma ogni tanto, di fare quattro chiacchiere con qualcuno potrebbe essere una buona cosa; tanto per stare in allenamento. Ma come si fa? Non c’è spazio per due, e anche se volessi uscire sarei, costretto a spalarmi la terra da sopra…

Almeno il cuscino c’è, così non mi viene il torcicollo.

Share This: