Paure

“Ti spingo oltre il fosso non per farti cadere, ma per farti vedere altra terra calpestabile”, le disse l’amico alla fine del discorso.

“Sì, ti capisco, ma mi sento ancora impaurita, so che la sua furia crescerà e si manifesterà in modo rabbioso… ho paura delle sue reazioni”, disse lei.

“E’ proprio su questo che lui gioca. Capisci che ormai ti possiede mentalmente? Fammi intervenire così gli do una lezione a quel bastardo!”

“No, lascia perdere, devo risolverla da sola… ”

“Allora reagisci; sii più concreta, ed esorcizza le tue paure. Stacca l’interruttore”.

“Sì, lo farò, ho solo bisogno di capire e capirmi meglio… ”

“Spero che in questo gioco di carnefice e vittima tu non ci trovi qualche recondito piacere; sai come vanno queste cose… ”, disse lui preoccupato.

“Devo confessarti che all’inizio ci provavo gusto, ma adesso provo solo dolore… “

“L’importante è che ne hai coscienza, già è un passo avanti… ”, disse lui mentre i silenzi diventavano sempre più lunghi.

“Ti chiamo stasera, così… ” disse lei.

“Sì… ciao” rispose lui.

Spense il cellulare e discese le scale. Doveva incontrarlo al solito posto. Camminava spingendo il corpo in avanti, come se dovesse vincere la resistenza dell’aria; aveva la sensazione che qualcuno la stesse tirando per i capelli trattenendola. I pensieri le si sovrapponevano in tante voci incomprensibili: come tanti echi lontani. Stranamente la strada sembrava rimpicciolire velocemente verso il centro: le ricordava quelle immagini che si allungavano come un elastico nei cartoni animati, che le piacevano tanto quando era piccola. Ma la cosa non la impressionò, anzi la fece sorridere.

L’uomo era là, fermo, appoggiato al muro con in faccia stampata un’espressione trionfante.

“Ero certo che saresti venuta”, le disse.

“Ne ero certa anch’io”, rispose lei.

“Allora?” Disse lui sempre con la stessa espressione sul viso.

“Allora sono venuta a riprendermi la mia vita”, disse lei decisa.

“ E come pensi di farlo?” Chiese lui in tono di sfida.

“Così!” La pistola si materializzò improvvisamente, e allo stesso modo il colpo partì, inaspettato anche per lei, ma la mira fu precisa: direttamente in mezzo alle gambe, all’altezza del pene.

“Ecco! Ho esorcizzato le mie paure”, disse lei allontanandosi.

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Io penso…

Io penso che il desiderio sia l’anticamera dei sogni; è la spinta che fa battere il nostro cuore. Il desiderio ti fa superare le avversità, ti spinge verso nuove scoperte. Il desiderio stimola l’anima…

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Seguirò…

Seguirò sempre la rotta indicata dalla mia coscienza: dove il nord è sempre vero. Senza lasciarmi influenzare da falsi magnetismi.

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Il tocco delle carni

Mi sveglio, sei lì davanti a me; le nostre gambe s’incrociano in una strana posizione: avvinghiate in una specie di incastro a forbice, con i corpi distesi lungo le due estremità del sofà. Sei nuda, ma è come se lo fossi sempre stata. Mi guardi con quegli occhi rubati a chissà quale gatto randagio e sorridi. C’è una luce che ti accarezza il viso: un perfetto alone di chiaro scuro che ti ammorbidisce ancora di più i lineamenti. Mi abbevero della tua figura come un assetato che ha appena trovato una fonte d’acqua celata tra le dune. Sono preso completamente dal tuo corpo, avvinto dalla delicatezza delle tue curve. Ti accarezzo pian piano e percorro il piccolo rigonfiamento di una vena che si perde tra le dita del piede. Mi guardo intorno e ho la sensazione che il tempo ci stia aspettando. Si è messo un po’ in disparte, e con discrezione aspetta un nostro segnale per continuare la sua corsa. Ti bacio l’alluce – delicatamente, senza fretta tanto il tempo aspetta. Spingo le mie labbra lungo un percorso sconosciuto soffermandomi sulla piccola depressione della caviglia. Prendo il tuo piede, l’appoggio sulla spalla e comincio a massaggiarti la gamba fin dove le mie braccia possono arrivare. Lentamente i tuoi sospiri riempiono la stanza rimbalzando dolcemente sulle pareti come tanti palloncini colorati. Non ci muoviamo, restiamo così, godendo solo del tocco delle nostre carni.

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Preda delle acque

La barca era piccola, troppo piccola. La costa era lontana; là, in fondo, oltre il buio.
O forse no? Forse la costa non c’era, forse non c’era niente oltre quell’oscurità immutabile? Forse c’erano solo voci sorde di disperazione? Bocche aperte prive di suono che chiedevano aiuto. Ma lui come poteva aiutarle? Era preda delle acque. Curvò le spalle alle tenebre intorpidite dalla sua incertezza; sentiva un grosso peso su di sé prodotto da una gravità opprimente. Cercava di ragionare, ma appena gli si formava un concetto logico, una mano diafana glielo ghermiva dalla mente.

Il vento soffiava a vortici insistenti e la barca non riusciva a trovare la rotta; le vele a brandelli creavano forme stridenti, i cui lembi tremavano nell’aria di quella notte eterna e silenziosa.

Era al timone da molte ore e da molte ore non dormiva. O forse erano giorni? Sapeva che se lasciava il timone, la barca si sarebbe capovolta in quel mare nero. Onde gigantesche lo superavano frangendo e spazzando il ponte da poppa a prua in un silenzio assordante. Ogni tanto qualche gorgo maligno ghermiva la barca facendola girare su se stessa. Sentiva freddo, molto freddo. Provò a cantare, ma le parole gli si gelavano sulle labbra appena uscivano dalla bocca frantumandosi ai suoi piedi. Mentre il vento gli strappava pezzi di pelle dal viso e dalle mani trasformandoli in mille coriandoli traslucidi. Finalmente un suono emerse da dietro le tenebre e si fece strada prepotentemente sopra la notte. Invase l’aria; attraversò lo scafo; s’infilò nel suo corpo e s’impossessò della sua coscienza. Si sedette al centro del letto; il telefono continuava a squillare come se avesse fretta di essere ascoltato.

Si alzò e andò a rispondere. Non c’era nessuno dall’altro lato del filo.

Solo l’ululato del vento.

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Polvere d’ombra

Un giorno il Lampionaio bussa alla porta dell’Alchimista.

– Alchimista, ho un problema grave, solo tu mi puoi aiutare.

– Cos’è che ti assilla Lampionaio?

– E’ da qualche tempo che perde la polvere.

– Chi? Di quale polvere parli?

– La polvere della mia ombra, Alchimista.

– Sembra una cosa seria, siedi e racconta.

– Dunque, l’altro giorno, mentre potavo le rose vicino al muro di casa, ho notato una strana polverina scura sui petali. Il fatto mi ha sorpreso, perché ho molta cura delle mie rose, e non mi ricordavo di averla mai vista in precedenza quella strana cosa. Prima ho pensato che fosse polvere dell’intonaco, ma era troppo scura; sarà stato lo spazzacamino che passando ha fatto cadere della polvere, mi sono detto, ma lui viene una volta al mese, e sono quindici giorni che non lo vedo. Ieri, al tramonto, sono uscito da casa con questo enigma che mi gironzolava in testa, e quando si è materializzata la mia ombra, guardandola meglio, mi è sembrata un po’ smagrita. La cosa sul momento non mi ha insospettito, perché ho pensato che forse con l’arrivo dell’inverno stava diventando più snella. E così abbiamo fatto il nostro giro abituale per accendere i lampioni. Stamattina all’alba, quando l’ho salutata, mi è sembrato di vedere un piccolo velo di polvere uscirle mentre si allontanava. Quando poi sono andato a potare le rose ho rivisto quella polverina strana di nuovo sui petali e sono rimasto di sasso, perché a quel punto ho realizzato che è là che l’ombra si distende quando torniamo. Devi sapere che a lei piace molto il profumo delle rose. Insomma, osservando meglio, ho trovato tracce di quella polverina un po’ dovunque lungo il muretto del roseto. La scoperta mi ha spaccato il cuore Alchimista. Mi sento infelice, aiutami ti prego. Dimmi, cosa posso fare per la mia ombra?

L’alchimista si alza e, con le mani incrociate dietro la schiena, inizia a gironzolare per la stanza; ogni tanto si ferma, porta l’indice alla tempia e poi riprende a rimuginare di nuovo. Dopo aver quasi consumato completamente il tappeto sul pavimento dice:

– Alza i piedi Lampionaio!

Un grosso buco sotto la scarpa sinistra faceva bella mostra nella suola del Lampionaio.

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Guardo fuori…

Guardo fuori: i profili delle case iniziano a riprendere le forme.
Linee geometriche che ritrovano l’identità sullo sfondo di un cielo che schiarisce. Chiudo la pagina, Word mi chiede se deve salvare; no, non voglio salvare quello che ho scritto. Preferisco lasciarlo nell’aria.

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Il Libro

Quel pomeriggio, prima di tornare a casa, passò per la libreria. Entrò e si avviò direttamente al reparto fantasy. Amava i libri fantasy: leggeva solo quelli. Anche se era una persona concreta, e non credeva nelle fate, nei maghi, elfi… li amava e non poteva fare a meno di leggerli. Non andava spesso in libreria, ci andava ogni tanto. Ogni tot settimane, dipendeva da quanti libri riusciva a leggere ogni tot settimane. Perché?Perché quando passava alla cassa, spesso si vergognava di far vedere a gli altri che leggeva quel genere di libri. Era un uomo timido, solitario.

Era in fila in attesa di pagare, quando venne spintonato da una donna molto attraente.

«Scusi… scusi tanto» disse la donna.

«Niente… ehm, stia tranquilla» rispose lui porgendole i libri che la donna aveva fatto cadere insieme ai suoi.

«Ecco, tenga… questo è suo» disse la donna allontanandosi in fretta. Mentre lui la guardava affascinato.

«Sono ottantasette euro signore… signore?» Disse la cassiera.

«Ah, sì, mi scusi… sì» rispose lui, tornando in sé.

Strano, Pensa Yago, l’incipit di questo libro sembra identico… Gira lentamente la pagina e continua a leggere.

Passò prima per la lavanderia e poi andò a casa; lungo le scale incontrò la signora del primo piano…

Yago si ferma di nuovo, guarda la pagina e: No, non è possibile mi sto lasciando suggestionare, pensa. Ma invece di continuare, parte di nuovo dall’inizio del racconto. Supera la parte letta in precedenza e continua.

… la signora Anna, una ficcanaso senza eguali. Entrò in casa accese lo stereo, programmò una compilation di jazz e andò in cucina per far scongelare la cena. Dopodiché aprì la busta della libreria, tirò fuori i libri…

Yago lascia cadere il libro a terra inorridito. Si allontana da esso come se avesse visto un fantasma. Si guarda intorno, convinto che fosse uno scherzo, una specie di candid camera. Sicuramente adesso usciranno fuori e applaudiranno per lo scherzo che mi hanno fatto, pensa. Ma sa benissimo che non può essere così: non avrebbero avuto lo spazio. E poi perché proprio a lui? Cosa aveva di speciale lui? Con cautela si avvicina di nuovo al libro e riapre la pagina.

… e vide che ce n’era uno che non aveva scelto. Lo prese e ne lesse il titolo – Le fantasie di questo mondo – di Morgana Estro (tratto da una storia quasi vera).

No! Grida Yago, non è possibile! Chiude il libro, ma dopo qualche secondo prende coraggio e continua a leggere.

… Lesse la quarta di copertina scritta dalla stessa autrice: – Spesso da questa parte del mondo, cioè dalla parte reale, succedono cose che dall’altra parte, cioè dalla parte irreale, non immaginano nemmeno. Quale sarà la realtà? Questa o quella – Morgana Estro.

«Sicuramente era di quella donna con la quale mi sono scontrato» disse sorridendo. E iniziò a leggerlo.

Quel pomeriggio, prima di tornare a casa, passò per la libreria. Entrò e si avviò direttamente al reparto fantasy…

Una strana sensazione di disagio comincia ad avvolgerlo; tuttavia continua a leggere finché non arriva esattamente dove si trova in quel momento. Ma prima di girare la pagina si ferma e posa il libro. Ha la testa che gli ronza come uno sciame d’api, ed è bombardata da una serie infinita di domande. Di cui una sola è la più importante, la più rilevante; forse l’unica a dover pretendere una risposta immediata. Come fa quel libro a descrivere esattamente quello che gli sta succedendo?

Ha paura di voltare pagina; non riesce a credere a quello che gli sta accadendo. Titubante guarda il libro appoggiato sul piccolo tavolino vicino alla poltrona; è tentato di riaprirlo e girare pagina, ma non ne ha il coraggio. Continua a guardarsi intorno come se qualcuno lo stesse osservando. Si chiede più volte se gli stessero tirando un brutto scherzo. Improvvisamente comincia a girare per il piccolo appartamento e rovistare nei punti più nascosti, convinto di individuare tracce di qualcosa: telecamere, microfoni, ma non trova niente. Si accovaccia nell’angolo opposto e guarda il libro con angoscia; come se da esso chissà quale incantesimo si stesse per sprigionare. Poco dopo si alza e inizia a girare di nuovo intorno alla poltrona – tenendo sempre il libro sott’occhio. Poi si guarda le dita e rimane sorpreso: le unghie non ci sono più: se l’è mangiate. Ma la curiosità spesso riesce a sopraffare la paura, specialmente quando si tratta del proprio destino. Prende il libro e lo riapre; arrivato al punto dove si trova in quel momento gira la pagina e con sorpresa scopre che le parole sono senza alcun tipo di significato; un’accozzaglia di lettere messe una dietro l’altra senza coerenza: indecifrabili. Aspetta un po’ e poi lo riapre ancora, e poi di nuovo: più e più volte, ma la parte illeggibile rimane invariata.

La mattina dopo apre il libro e scopre che parte delle parole che non si leggevano la sera prima sono diventate comprensibili, fermandosi, poi, sempre nel punto della realtà temporale. Chiama in ufficio e dice che non si sente bene, poi prende il libro e si avvia verso la porta, ma passando davanti allo specchio si rende conto di essere ancora in pigiama. Torna indietro e s’infila velocemente una camicia e un paio di pantaloni. Incuriosito apre il libro e legge le ultime righe.

Chiamò in ufficio e disse che non si sentiva bene, poi prese il libro e si avviò verso la porta, ma passando davanti allo specchio si rese conto di essere ancora in pigiama. Tornò indietro e s’infilò velocemente una camicia e un paio di pantaloni. Aoutrndt af potfgatl dpfvestqaoton d gfl, dotgg, hs gerqh ssmgqotu, fdrbhfgayffd. Mgatdghisfryo; bhlogttabsujt…

Mentre scende le scale incontra la signora Anna del primo piano. Buongiorno Yago, non va a lavoro oggi? Gli chiede la signora Anna. Cosa glielo fa pensare? Risponde lui. Be’, ecco, non la vedo in giacca e cravatta, e quindi… Si faccia gli affari suoi ficcanaso! Risponde Yago, continuando a scendere velocemente le scale. Che villano! Dice la signora Anna molto sorpresa.

Yago esce sul marciapiede, si ferma e riapre il libro.

Mentre scendeva le scale incontrò la signora Anna del primo piano «Buongiorno Yago, non va a lavoro oggi?» Chiese la signora Anna. «Cosa glielo fa pensare?» Rispose lui. «Be’, ecco, non la vedo in giacca e cravatta, e quindi…» «Si faccia gli affari suoi ficcanaso!» Rispose Yago, continuando a scendere le scale velocemente. «Che villano!» Disse la signora Anna sorpresa. «Chi se lo sarebbe mai aspettato da una persona del genere, è sempre stato così gentile» continuò salendo le scale la signora Anna. «Di chi parli Anna?» Le chiese la sua vicina sul pianerottolo. «Di Yago, sai quello che abita al terzo piano?» Disse Anna. «Certo, lo conosco, quel tipo solitario; un tipo normale. Che ha fatto?» Chiese la vicina. «Mi ha dato della ficcanaso. Da lui non me lo sarei mai aspettata. E’ sempre stato educato, ben vestito…mah! A volte la gente impazzisce. E poi l’ho visto strano: aveva la camicia abbottonata male, la lampo dei pantaloni aperta e non si è fatto neanche la barba. Ciao carissima ci vediamo», disse Anna chiudendosi la porta alle spalle. Bhlogttabsujt.. lf potfgatl dpfvestqaoton labhlogtto rbhlogtte vbhlogtt assmgqotu.

Yago si tocca la barba, si tira su la lampo richiude il libro e va diretto alla libreria.

“E adesso?” Si chiese lei “Come la faccio continuare questa storia? In fin dei conti gli ho dato una bella personalità a questo tizio: un uomo normale, solitario, sconvolto da un libro misterioso, un libro magico. Gli ho anche dato un nome un po’ improbabile – Yago – che rimanda a sentimenti possenti come la gelosia… la gelosia. Sempre lo stesso problema”, si girò verso il telefono.

“Non vorrei farlo incontrare con la donna misteriosa: troppo scontato, e continuare con il gioco delle parole indecifrabili, rischierei di farlo diventare noioso. Ci vorrebbe un’idea, un’intuizione” si disse, girandosi di nuovo verso il telefono.

“Yago, Yago,Yago… ” ripeteva come un mantra.

Lo scampanellio della porta d’ingresso la fece tornare in sé, si alzò e andò ad aprire.

«Buonasera, cerco la signora Morgana Estro». L’uomo aveva un libro tra le mani.

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A volte…

A volte mi sento come una cima di ormeggio: legato su due bitte tra la terra e il mare.

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C’è…

C’è una scia d’acqua tracciata sul mio sistema nervoso centrale.

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