Asfalto

Il suolo è caldo, il sole picchia forte. Lungo la linea dell’orizzonte qualcosa sembra danzare tra i fumi trasparenti, deformandosi e poi riformandosi nell’aria bollente.
E’ blu, con la bocca quadrata e grigliata e ha quattro occhi gialli illuminati; sulla fronte il sole gli si riflette insieme al cielo. Ha due corna da cui esce un fumo denso e scuro, mentre al di sotto qualcosa gira. Si tira dietro un guscio argentato su cui riflettono i campi di grano e il resto del cielo. All’interno ci vive un uomo – qualche volta ci ho visto anche una donna. Ci stanno giornate intere là dentro a trasformare foglie di tabacco tritato in fumo e a bere da gusci colorati e lucenti che poi lanciano ai bordi della strada.

Devo affrettarmi ad attraversare prima che arrivi, ma scivolo male, non lubrifico, fa troppo caldo.

Ecco! Diventa sempre più grande: si avvicina, è enorme. Emette un suono forte, invadente, senza senso; già l’ho sentito questo suono, ha sempre la stessa modulazione sia di giorno sia di notte.

Fa troppo caldo, non lubrifico…

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Preda delle acque

La barca era piccola, troppo piccola. La costa era lontana; là, in fondo, oltre il buio.
O forse no? Forse la costa non c’era, forse non c’era niente oltre quell’oscurità immutabile? Forse c’erano solo voci sorde di disperazione? Bocche aperte prive di suono che chiedevano aiuto. Ma lui come poteva aiutarle? Era preda delle acque. Curvò le spalle alle tenebre intorpidite dalla sua incertezza; sentiva un grosso peso su di sé prodotto da una gravità opprimente. Cercava di ragionare, ma appena gli si formava un concetto logico, una mano diafana glielo ghermiva dalla mente.

Il vento soffiava a vortici insistenti e la barca non riusciva a trovare la rotta; le vele a brandelli creavano forme stridenti, i cui lembi tremavano nell’aria di quella notte eterna e silenziosa.

Era al timone da molte ore e da molte ore non dormiva. O forse erano giorni? Sapeva che se lasciava il timone, la barca si sarebbe capovolta in quel mare nero. Onde gigantesche lo superavano frangendo e spazzando il ponte da poppa a prua in un silenzio assordante. Ogni tanto qualche gorgo maligno ghermiva la barca facendola girare su se stessa. Sentiva freddo, molto freddo. Provò a cantare, ma le parole gli si gelavano sulle labbra appena uscivano dalla bocca frantumandosi ai suoi piedi. Mentre il vento gli strappava pezzi di pelle dal viso e dalle mani trasformandoli in mille coriandoli traslucidi. Finalmente un suono emerse da dietro le tenebre e si fece strada prepotentemente sopra la notte. Invase l’aria; attraversò lo scafo; s’infilò nel suo corpo e s’impossessò della sua coscienza. Si sedette al centro del letto; il telefono continuava a squillare come se avesse fretta di essere ascoltato.

Si alzò e andò a rispondere. Non c’era nessuno dall’altro lato del filo.

Solo l’ululato del vento.

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