Tacchi

 

L’avanzare di tacchi rimbalza tra le pareti dietro l’angolo, mi entra in testa e si espande, come questa pioggia sul marciapiede che dilaga senza ostacoli. Sembrano tacchi da otto.
Forse li ho già sentiti, li conosco, sono sicuro di averli incrociati altre volte. Scavo nella memoria ‒ come quell’ombra laggiù nella spazzatura – buttandomi alle spalle quello che non mi serve. Tacchi da otto, tacchi da otto… sono larghi, sicuro; non a spillo, certo. Sembrano decisi, determinati, conoscono la strada, chissà, l’avranno fatta mille volte ‒ come quel tram che sferraglia scintillando nella notte. Intanto il ticchettio aumenta, si avvicina, poi si ferma: li sento esitare. Il silenzio si fa intenso, l’aria pesante. Improvvisamente girano su se stessi e tornano indietro. Supero l’angolo: la strada è buia; accelerano, li inseguo; affannano…  I battiti del mio cuore aumentano e si confondono con il loro rimbombare veloce intrecciandosi lungo le pareti buie alle mie spalle. Supero un paio di ostacoli aumentando l’andatura. Il sudore comincia a colarmi lungo la schiena, mentre li sento sempre più vicini. Ormai ci sono, manca poco, gli sto addosso… Ecco! Presi! Finalmente le riconosco: sono le scarpe della signora Tilde. Saranno scappate quando avrà aperto la porta.

 

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Parole

Sono imprigionato dalle parole, sono ingabbiato, recluso, incarcerato; sono un detenuto in gattabuia; mi hanno condannato, sono state loro a condannarmi: le parole; mi circondano, mi avvolgono, volteggiano nell’aria, a volte chiare, a volte no; mi sospirano all’orecchio, mi scivolano sul corpo, mi marchiano la mente, poi si dissolvono; le prendo a volo, poi le perdo, ne trovo alcune, ma poi si trasformano in altre; trasformazioni veloci, repentine; alcune mi cantano, altre ancora mi gridano, o sono talmente lievi che non le sento, ma le percepisco, so che ci sono; vagano, indifferenti, presuntuose, belle, brutte, inquietanti, mai insignificanti; mi prendono e mi portano lontano, a volte mi trascinano, altre mi abbandonano, alcune sono infide, altre sono sincere; ci sono, sono sempre là, tutte intorno; molte mi guardano e non si rivelano: aspettano; spesso le compro convinto di possederle, ma sono loro che mi fagocitano: si nascondono dentro le pagine, poi, improvvisamente, saltano fuori e m’imprigionano ammanettandomi; oppure le vedo apparire da un monitor e mi rubano gli occhi ipnotizzandoli; le incontro anche per strada, a volte imbellettate, altre appena accennate, ammiccano, sorridono, m’invogliano, mi provocano, sono tante: parlano, parlano, parlano, dovunque mi trovi parlano… silenzio! State zitte! Vorrei dormire almeno per una notte senza sentirvi.

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