Il fatto di definire un sentimento con una parola non vuol dire che non abbia un significato più profondo. E’ la verità ultima quella che ci sfugge sempre.
Comprendere
Mi distendo sulle tue parole
aggiusto le vocali dietro la testa
appoggio le consonanti sul comodino
tiro giù gli aggettivi – dormo meglio senza –
mi copro con qualche avverbio.
Intanto cerco di comprendere.
Parole
Sono imprigionato dalle parole, sono ingabbiato, recluso, incarcerato; sono un detenuto in gattabuia; mi hanno condannato, sono state loro a condannarmi: le parole; mi circondano, mi avvolgono, volteggiano nell’aria, a volte chiare, a volte no; mi sospirano all’orecchio, mi scivolano sul corpo, mi marchiano la mente, poi si dissolvono; le prendo a volo, poi le perdo, ne trovo alcune, ma poi si trasformano in altre; trasformazioni veloci, repentine; alcune mi cantano, altre ancora mi gridano, o sono talmente lievi che non le sento, ma le percepisco, so che ci sono; vagano, indifferenti, presuntuose, belle, brutte, inquietanti, mai insignificanti; mi prendono e mi portano lontano, a volte mi trascinano, altre mi abbandonano, alcune sono infide, altre sono sincere; ci sono, sono sempre là, tutte intorno; molte mi guardano e non si rivelano: aspettano; spesso le compro convinto di possederle, ma sono loro che mi fagocitano: si nascondono dentro le pagine, poi, improvvisamente, saltano fuori e m’imprigionano ammanettandomi; oppure le vedo apparire da un monitor e mi rubano gli occhi ipnotizzandoli; le incontro anche per strada, a volte imbellettate, altre appena accennate, ammiccano, sorridono, m’invogliano, mi provocano, sono tante: parlano, parlano, parlano, dovunque mi trovi parlano… silenzio! State zitte! Vorrei dormire almeno per una notte senza sentirvi.
Foglio bianco
Sono davanti a un foglio bianco, sforzandomi di vedere quello che non c’è, cercando di descrivere e trasformare in segni quello che penso, quello che si materializza nella mia mente. A volte lo guardo, gli guardo dentro, per interi minuti, guardo il suo biancore accecante, i suoi contorni, la sua geometria, la sua fredda immobilità, la sua gelida fissità, guardo la sua bidimensionalità, la sua algènte immutabilità. Poi comincio a far passare il mouse sulla barra degli strumenti e sulle funzioni: lo stile, il carattere, la dimensione, colore, sfondo… ”riscaldo le candelette”, prendo tempo. Rovisto nella mia testa, esploro, cerco, frugo; si affacciano le prime porzioni d’ immagini, i primi flash. Sono pezzi di ricordi, a volte in bianco e nero, a volte a colori, senza una forma definita, che cerco di fissare, di imprimere, sviluppare. Si delineano, si sovrappongono si trasformano, vanno via, ritornano. Cerco di dare un ordine al caos, cerco un entropia mentale. Prendo questi pezzi di puzzle e provo a unirli, selezionandoli, dividendoli, scartandone alcuni, aggiungendone altri. M’immergo dentro di loro, ci nuoto, mi lascio trasportare galleggiandoci sopra; attraversando vortici indefiniti, gorghi inspiegabili, supero colline di ricordi, altopiani di concetti, scalo montagne di significati, cordigliere di pensieri. All’inizio è un ricordo, lontano, remoto, vago, una storia , un racconto, una sensazione, una scena di un film, un libro letto anni addietro, o solo un immagine. Poi inizio a dargli una forma, un’ossatura, un corpo. Lo animo, gli dò vita, lo nutro, lo disseto, lo vesto di parole, di frasi, di locuzioni. oppure lo svesto, lo spoglio, lo disadorno, finché non ricresce e diventa adulto… pronto e chiaro come un mattino d’alta quota.
Il problema è trasformarlo in prosa.