La giostra

Amo il tuo profumo… così dolce, così gentile… lo cerco sempre in ogni donna che incrocio; mi aleggia intorno sfuggente, come se avesse fretta di disperdersi.
Allungo il corpo inspirando profondamente finché non mi arriva nel cervello; finché non mi appare il tuo viso. Il tuo viso, che danza lungo i bordi della mia mente. Il tuo viso, che scivola lungo i miei pensieri tuffandosi nei miei ricordi. Rotolo su di essi inciampando e rimbalzando a ogni caduta per trovarmi, infine, disteso sul tuo ventre. Giaccio lì, immobile per un po’, ma ti dissolvi in mille luci colorate che si rincorrono. Resto solo. Ecco! Adesso ti rivedo, sei lì, in fondo. Ti vedo in mezzo a tante note colorate che danzano leggere chiuse in bolle di sapone; provo a bucarle, ma rimbalzano e si allontanano indifferenti. Guardo il mio corpo: è inerme, privo d’aria; alzo il mento verso l’alto per trasformare i tuoi lineamenti in qualcosa di respirabile per riprender fiato. Chissà se ti conservassi in una boccetta e ti tenessi su una mensola cosa penseresti? Potrei cospargermi la pelle della tua essenza tutte le mattine, così dai pori entreresti nel mio sangue e sarei sempre avvolto dal tuo profumo.

Comincio a sentirmi strano, tra poco, lo so, diventerò solido e poi tutto tornerà come prima.

Scenderò dalla giostra.

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Desiderio

Eccoti finalmente. Anche stamattina guardi nella borsa; sbuffi indispettita spostando la ciocca di capelli che ti cade sugli occhi ogni volta che abbassi la testa, poi appoggi la borsa sul tetto dell’auto e ti dedichi alla ricerca delle chiavi come se scavassi una buca nel terreno.
Fa freddo, quel cappotto lungo con il bavero largo ti modella magnificamente il corpo; invano tento di penetrarlo con lo sguardo. Ti desidero. Attraverso la strada e vengo verso di te; alzi la testa, mi guardi e rimani lì, ferma, solo gli occhi si muovono velocemente. Restiamo sospesi per lunghissimi secondi l’uno nello sguardo dell’altro. Ti accarezzo il viso, esiti, e poi strofini la guancia nella mia mano; ti cingo la vita e comincio a baciarti; accompagni i miei spostamenti con studiate angolazioni della testa permettendo alle mie labbra di esplorare la superficie del tuo collo flessuoso. La mia bocca lascia una scia ardente mentre la spingo delicatamente dietro il tuo orecchio, abbassi la testa e mi sposto lungo la nuca percorrendola a piccoli morsi, poi di nuovo sul collo, infine scivolo sulle tue labbra cibandomene avidamente. Ti apro il cappotto per cogliere quanta verità vi sia all’interno; frugo sotto i tuoi vestiti alla scoperta delle tue forme scivolando con le mani lungo il corpo, finché non si riempiono del tuo seno, finché le mie dita sfiorano i tuoi capezzoli turgidi d’eccitamento. Mi cingi il collo, ti ci aggrappi e avvolgi le gambe intorno ai miei fianchi restando sospesa tra la voglia di essere posseduta subito e quella di trovare una posizione più comoda. Ma anche così riesco a entrare in te. Comincio a spingere piano, ma con determinazione, e a ogni spinta la ciocca dei tuoi capelli sobbalza incontrollata, mentre a ogni sguardo il bianco dei tuoi occhi prende il posto dell’iride. Il tuo respiro mi accarezza l’orecchio con sussurri e inviti a spinte ancora più possenti. Non c’è più niente intorno a noi, tutto gira vorticosamente. Cavalchiamo questo momento cercando di farlo durare il più possibile, sorretti solo dal nostro desiderio…

Guardo oltre il tuo viso. Da un albero uno stormo di passeri spicca il volo.

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Viso di stoffa

Lo so dove sei andata. Ci sei andata altre volte, ma non serve; cerchi di alleviare i tuoi rimorsi chiudendoti in una stanza spoglia di un motel, coperta solo da un misero accappatoio che sembra un saio. Ti vedo, sul bordo del letto a ritoccarti il viso col portacipria di Swarovsky; è la tua natura, la tua essenza, la tua contraddizione. Io so cos’hai dentro, lo percepisco anche a distanza; ti nascondi a te stessa, ti ammanti di finto fatalismo, di responsabilità indotte. Esci da casa sorridendo a tutti e salutandoli con cordialità mentre i tuoi occhi brillano di un’altra luce. C’è un conflitto enorme dentro di te, complicato dalla tua presunzione di poter gestire tutti con il tuo viso di stoffa. Lo hai lavato troppe volte ormai: il tessuto si sgrana, devi indossarne un altro. Puoi comprarne uno nuovo, ma hanno messo i saldi. Saresti uguale agli altri.

Sei misera, ma non sei degna di pietà. La tua anima si perderà, continuerà a vagare finché il tempo cesserà. Sarà la tua nemesi. Mi hai reso schiavo della tua bellezza manipolando la mia mente come un pezzo d’argilla. Hai costruito un vaso e poi l’hai fracassato, riducendolo in mille pezzi. Li sto ancora raccogliendo. Molti sono inutilizzabili. A che serve ricostruirlo…

Neanche lui riesce a essere più misero di te. Lui che cerca di soddisfare il tuo corpo che reclama sesso mentre la tua mente ci gioca; mentre lo soggioghi con le tue malìe. Lui che è convinto di condurre il gioco. Che uomo stupido… Ti sei procurata uno stallone da monta, ma non sa correre: non è di razza. Con lui ti è più facile; la sua intelligenza è inversamente proporzionale alle sue prestazioni fisiche, mi dicesti. E io cercando di fare l’indifferente ti chiesi di cambiarti il vestito, quella sera del ricevimento. Non è importante cosa indossi, ma come lo indossi, dicesti.

Sì, vinci anche in questo: l’indumento non ti veste, sei tu che vesti lui. Nessun uomo ti veste, nessuno uomo ti vestirà mai.

Lui sarà arrivato ormai, starete a letto iniziando la vostra danza di guerra. Anche questo me l’hai detto tu. I preliminari sono come una danza di guerra intorno a un grande falò di passioni. Ricordi? Eravamo in macchina. Parlavi e il falò si rifletteva dai tuoi occhi, mentre dentro di me un rogo bruciava inarrestabile. Non risposi: avevo paura che smettessi di raccontarmi di voi due. Dopo un po’ passasti ai particolari. Eri precisa nelle tue descrizioni, come se ne stessi parlando con un’amica. Sembravi posseduta da una strana suggestione, ma non del tutto. Mi spiavi con la coda dell’occhio cercando di capire se mi stessi eccitando. Un gioco malefico il tuo. Non contenta, la tua mano iniziò ad accarezzarmi l’inguine. Fermati! Mi dicesti. Accostai e mentre osservavo il traffico notturno saziasti la tua sete nutrendoti della mia sostanza. Quella notte a letto ti cercai. Non adesso, mi dicesti girandoti dall’altro lato.

I giorni passavano sulle nostre vite, c’incontravamo sempre meno in casa, tranne la mattina. Cercavo di non pensarci, mi dicevo che presto sarebbe cambiato. Una sera, un collega di lavoro mi portò in un bar; erano giorni che insisteva. Era un bar di single; sagome scure; uomini e donne disillusi. Lei era simpatica; appena uscita da una storia sgradevole, ed era piena di grandi sogni. Non ricordo come, ma mi svegliai nel suo letto la mattina successiva. C’era un biglietto che mi invitava a rilassarmi come se fossi stato a casa mia e di farmi il caffè. Quando penso a lei mi tornano in mente solo i suoi occhi, occhi limpidi come acqua che scorre.

Dove sei stato stanotte? Mi chiedesti. E io per vendicarmi ti raccontai tutta la verità, tranne i particolari che m’inventai di sana pianta. Il tuo viso s’infiammò, una strana luce si formò nei tuoi occhi da gatta selvatica. Ti avvicinasti e strusciandoti cominciasti a gemere. Lo facemmo lì sulla sedia e poi continuammo nel letto fino a notte inoltrata. Non voglio dividerti con un’altra, mi dicesti alla fine. Andai in bagno e rimasi un po’ a guardarmi nello specchio e quando tornai stavi già dormendo. Era tornato tutto come prima.

Ritornai in quel bar, non so perché, ma ci tornai. Era presto, c’erano solo un paio di persone appoggiate sul lungo bancone. Chiesi al barista se l’avesse vista, ma non ricordava di chi parlassi. Fermai un taxi e mi feci portare a casa sua. Non ricordavo l’indirizzo, ma la zona sì. Una signora mi disse che era partita per l’Africa. Stava realizzando uno dei suoi sogni allora. Passai la notte girando senza meta per la città. Tornai a casa sperando di suscitare in te altro interesse, ma nessuna luce si formò più in quei tuoi occhi da gatta selvatica. Hai passato di nuovo la notte fuori? Mi domandasti, dandomi un bacio sulla guancia. E senza attendere risposta chiudesti la porta alle tue spalle.

Perché non smetti di vederlo, ti ho chiesto stamattina in cucina. I tuoi occhi mi guardavano da sopra il bordo della tazza del tè. Ti prometto che da domani non lo rivedrò più. Da domani.

Sto cadendo dal dodicesimo piano chiedendomi se lo rivedrai anche domani.

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