Tacchi

 

L’avanzare di tacchi rimbalza tra le pareti dietro l’angolo, mi entra in testa e si espande, come questa pioggia sul marciapiede che dilaga senza ostacoli. Sembrano tacchi da otto.
Forse li ho già sentiti, li conosco, sono sicuro di averli incrociati altre volte. Scavo nella memoria ‒ come quell’ombra laggiù nella spazzatura – buttandomi alle spalle quello che non mi serve. Tacchi da otto, tacchi da otto… sono larghi, sicuro; non a spillo, certo. Sembrano decisi, determinati, conoscono la strada, chissà, l’avranno fatta mille volte ‒ come quel tram che sferraglia scintillando nella notte. Intanto il ticchettio aumenta, si avvicina, poi si ferma: li sento esitare. Il silenzio si fa intenso, l’aria pesante. Improvvisamente girano su se stessi e tornano indietro. Supero l’angolo: la strada è buia; accelerano, li inseguo; affannano…  I battiti del mio cuore aumentano e si confondono con il loro rimbombare veloce intrecciandosi lungo le pareti buie alle mie spalle. Supero un paio di ostacoli aumentando l’andatura. Il sudore comincia a colarmi lungo la schiena, mentre li sento sempre più vicini. Ormai ci sono, manca poco, gli sto addosso… Ecco! Presi! Finalmente le riconosco: sono le scarpe della signora Tilde. Saranno scappate quando avrà aperto la porta.

 

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Infradito

Era da un po’ che volevo comprarmeli. Quella domenica la gente girava già in pantaloncino e maglietta e il negozio era aperto, con quel suo marchio a forma di globo di un verde malinconico. Mi avvicinai alla rastrelliera per cercare la mia misura, ma di nero non c’era niente che potesse contenere i miei piedi, oltre al prezzo – odio le cose variopinte: mi confondono. Che fare? Gli altri li avevo scartati al primo sguardo: con i colori delle squadre di football dei mondiali. Per quel che mi riguardava gli stadi potevano anche  essere usati  per pascolarci il bestiame, mentre i pastori, dalle tribune, suonavano il piffero.

Scelsi l’Argentina, un po’ larga, ma ci stavo comodo.

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Zampillo

Osservo il cielo stellato,

Orione occupa metà dello spazio.

Sirio è come un grosso cane al guinzaglio.

Lo zampillare è rumoroso e rimbalza sui cespugli,

gocce luminose cadono lungo le foglie scure,

forse mi sono bagnato le scarpe.

Tiro su la zip,

s’è fatto tardi.

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L’incidente

I due sono appoggiati vicino alle portiere dell’ambulanza.

– Vedrai quanti cadaveri incontrerai sulla tua strada, specialmente i fine settimana. Gli sta dicendo quello con i capelli bianchi accendendosi una sigaretta. E’ un tipo tozzo, con il tono di voce che dà ai nervi. L’altro, un giovanotto alto e pieno di brufoli, scuote la testa in segno di assenso.

– Questo è il tuo primo giorno di lavoro e già lo battezzi con un incidente mortale, cominci bene ragazzo! Dice il tozzo, sbuffando fumo solo dal naso. Percepisco chiaramente dal suo modo di fare, che si sente padrone della scena; un’occasione ghiotta per farsi bello davanti a qualcuno che ne sa meno di lui. E, senza esitare, continua nel suo monologo.

Ricordo una volta che tirammo fuori due corpi da una macchina schiantata contro un albero. Ci misero tre ore i pompieri a tagliare le lamiere di quella cazzo di macchina, talmente che era accartocciata. Tirammo fuori prima il corpo di lei, quasi irriconoscibile… poi quello di lui. Al che notai che lui c’aveva la patta dei pantaloni aperta. Sulle prime non ci feci caso, sai negli scontri scoppia tutto oltre all’airbag… incredibile! Ogni volta che ci penso mi viene da ridere… insomma, lui aveva la patta dei pantaloni aperta e mi accorsi che c’era molto sangue là, in quel posto, sai? Mentre stavo là a cercare di capire per quale cazzo di motivo lui c’aveva tutto quel sangue, Franco, il mio vecchio collega, un gran simpaticone, mi chiama e mi fa: «Hei Peppe! Vieni un po’ a vedere… », mi avvicino al corpo di lei, mentre Franco s’infilava i guanti di lattice. Bisogna sempre tenere i guanti di lattice ragazzo, ricordati; non si può mai sapere che tipo di malattia c’hanno… specialmente questi drogati del fine settimana. Dunque dicevo: Franco apre la bocca alla donna e… indovina cosa ne tira fuori? Dài, indovina! Non ci crederesti mai, eheheheheh. Un cazzo! Lei aveva la metà del cazzo di lui in bocca. Capisci? Ogni volta che ci penso mi scompiscio dalle risate. Un cazzo… incredibile! Quella troia gli stava facendo un pompino e sono andati a sbattere contro l’albero, ci pensi? Mio Dio che ridere; ne abbiamo parlato per un mese. La risata del tozzo continua a risuonare tra gli alberi ai lati della strada.

A questo punto mi chiedo perché continuano a stare là, fermi, senza fare niente, e la risposta la dà indirettamente il tozzo, come se avesse letto nel mio pensiero.

– Ma quanto ci mette il furgone mortuario ad arrivare? Prendi questo povero cristo a terra, per esempio, chissà quale stronzo l’ha investito ed è poi scappato. Guarda le scarpe; lo sai perché le scarpe si staccano quando uno viene investito? Chiede il tozzo, sempre più felice di essere fonte di conoscenza per quel povero ignorante.

Il brufoloso scuote la testa in segno di diniego.

– Per lo schianto forte, sono le prime cose che volano via quando uno viene investito, capisci? Ricordati, quando vedi le scarpe sull’asfalto significa che non c’è più niente da fare. Dice il tozzo, accendendosi un’altra sigaretta.

– Volano via come l’anima. Dice il brufoloso rivolto verso il cielo.

– Finalmente! Ecco il furgone. Dice il tozzo, buttando la mezza sigaretta.

E’ tempo di andare anche per me. Passo a fianco al mio corpo disteso sull’asfalto, poi mi soffermo a guardare le scarpe. Le avevo appena comprate.

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Polvere d’ombra

Un giorno il Lampionaio bussa alla porta dell’Alchimista.

– Alchimista, ho un problema grave, solo tu mi puoi aiutare.

– Cos’è che ti assilla Lampionaio?

– E’ da qualche tempo che perde la polvere.

– Chi? Di quale polvere parli?

– La polvere della mia ombra, Alchimista.

– Sembra una cosa seria, siedi e racconta.

– Dunque, l’altro giorno, mentre potavo le rose vicino al muro di casa, ho notato una strana polverina scura sui petali. Il fatto mi ha sorpreso, perché ho molta cura delle mie rose, e non mi ricordavo di averla mai vista in precedenza quella strana cosa. Prima ho pensato che fosse polvere dell’intonaco, ma era troppo scura; sarà stato lo spazzacamino che passando ha fatto cadere della polvere, mi sono detto, ma lui viene una volta al mese, e sono quindici giorni che non lo vedo. Ieri, al tramonto, sono uscito da casa con questo enigma che mi gironzolava in testa, e quando si è materializzata la mia ombra, guardandola meglio, mi è sembrata un po’ smagrita. La cosa sul momento non mi ha insospettito, perché ho pensato che forse con l’arrivo dell’inverno stava diventando più snella. E così abbiamo fatto il nostro giro abituale per accendere i lampioni. Stamattina all’alba, quando l’ho salutata, mi è sembrato di vedere un piccolo velo di polvere uscirle mentre si allontanava. Quando poi sono andato a potare le rose ho rivisto quella polverina strana di nuovo sui petali e sono rimasto di sasso, perché a quel punto ho realizzato che è là che l’ombra si distende quando torniamo. Devi sapere che a lei piace molto il profumo delle rose. Insomma, osservando meglio, ho trovato tracce di quella polverina un po’ dovunque lungo il muretto del roseto. La scoperta mi ha spaccato il cuore Alchimista. Mi sento infelice, aiutami ti prego. Dimmi, cosa posso fare per la mia ombra?

L’alchimista si alza e, con le mani incrociate dietro la schiena, inizia a gironzolare per la stanza; ogni tanto si ferma, porta l’indice alla tempia e poi riprende a rimuginare di nuovo. Dopo aver quasi consumato completamente il tappeto sul pavimento dice:

– Alza i piedi Lampionaio!

Un grosso buco sotto la scarpa sinistra faceva bella mostra nella suola del Lampionaio.

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